COS’E’ E COME SI MANIFESTA L’ANSIA
Il disturbo d’ansia si connota come una particolare forma d’ansia caratterizzata da un’eccessiva, incontrollabile, preoccupazione, di natura disfunzionale, che va ad interferire nella normocondotta quotidiana del soggetto attraverso sue proprie anticipazioni mentali di eventi catastrofici, inerenti ad esempio questioni di salute, di denaro, la paura della morte, l’enfatizzazione di problemi familiari, di amicizia, relazionali in senso lato, e di lavoro. La somatizzazione di tali eventi comporta il manifestarsi di una varietà di sintomi fisici, tra i quali stanchezza, irrequietezza, mal di testa, nausea, intorpidimento delle mani e dei piedi, tensione e dolori muscolari, difficoltà di deglutizione, di respirazione, di concentrazione, tremori, spasmi muscolari, irritabilità, agitazione, sudorazione, insonnia, vampate di calore, eruzioni cutanee, e l’incapacità di controllare l’ansia. Ai fini di una corretta diagnosi della stessa, condizione necessaria e sufficiente sarà il perpetuarsi dei suddetti sintomi per almeno sei mesi continuativi. Ad oggi, circa sette milioni di persone negli Stati Uniti è affetta da questa sindrome mentre in Europa il due per cento dei soggetti adulti sperimenta il suddetto disturbo, senza distinzione di sesso, ma con le sole variabili dettate dall’uso di sostanze psicotrope e dell’ereditarietà negli antecedenti della famiglia. Qualora non venissero trattati adeguatamente i sintomi dell’ansia generalizzata, il rischio equivalente di una sua cronicizzazione sarà molto alto, con la possibilità di una riduzione solo attraverso un tempestivo intervento in tal senso. Sempre negli Stati Uniti, è da rilevare come questa sia la più comune causa di inabilità al lavoro, rilevata con l’impiego di appositi indicatori come ad esempio il GAD-7. Una eccessiva somministrazione di benzodiazepine nel tempo, come di altre sostanza voluttuarie o psicoattive, può addure un incremento dell’ansia, come è vero il contrario. Studi campione negli anni novanta in Gran Bretagna, hanno permesso di identificare le cause dei disturbi d’ansia in pazienti ospiti di cliniche psichiatriche ed ospedali, nell’assunzione di tali sostanze e la scomparsa degli stessi da una loro sospensione, portandoli ad un recupero della salute e della funzionalità psicofisica. Anche il tabagismo e la caffeina incentivano l’insorgenza dei disturbi d’ansia, intervenendo direttamente nei meccanismi cerebrali dell’amigdala. Il nucleo basolaterale , infatti, è coinvolto nella comunicazione con la corteccia cerebrale prefrontale nel grado di percezione che si ha della paura e la nostra risposta alla stessa, attraverso la stimolazione del tronco encefalico, dell’ipotalamo e del cervelletto. Tali aree sono meno distinte, a livello funzionale, in coloro che soffrono d’ansia, pertanto la terapia compensativa consisterà nell’approccio cognitivo, orientato alla riduzione del coinvolgimento emotivo. I parametri di rilevazione del disturbo d’ansia generalizzata, più comunemente detta “G.A.D.” (General Anxiety Desease), rispondono alla sintomatologia prevista nel Manuale diagnostico dei Disturbi mentali DSM-5,comprendenti una preoccupazione eccessiva che si manifesta in più giorni alla settimana, sempre per almeno sei mesi, interessando ad esempio le prestazioni lavorative o scolastiche; il soggetto palesa difficoltà nella gestione emozionale della stessa a causa dell’agitazione incontrollata, esternando irritabilità e riconoscendo la difficoltà nell’addormentarsi, la tensione muscolare e diverse contratture. Talvolta lo stesso è meglio definito in relazione con altri disturbi, come anche la negazione dello stesso, la fobia sociale, la cosiddetta “paura della paura”, il disturbo ossessivo-compulsivo, quello post traumatico da stress, schizofrenia e psicosi. Riassumendo, è possibile distinguere tre classi sintomatologiche dei disturbi d’ansia: i sintomi autonomi di eccitazione, che comprendono palpitazioni e batticuore (tachicardia), sudorazione eccessiva, tremori, secchezza delle fauci, difficoltà respiratorie, sensazione di soffocamento, dolori al petto, nausea e disturbi addominali; i sintomi neurologico-cognitivi, come le vertigini, alienazione dal contesto reale (derealizzazione), percezione del sé distante (depersonalizzazione), paura di perdere il controllo, di morire; avremo inoltre sintomi comuni come vampate di calore, brividi di freddo, parestesie; sintomi di tensione, a livello muscolare, agitazione, incapacità di rilassarsi, fascicolazioni, bolo isterico con difficoltà nella deglutizione; infine sintomi aspecifici, caratterizzati da difficoltà attentive, vuoti di memoria, astenia, enfatizzazione nelle risposte agli stimoli. Occorre badare bene a non confondere il disturbo d’ansia generalizzato con il disturbo di panico, le fobìe, il disturbo ossessivo-compulsivo e l’ipocondrìa; inoltre sarà importante escludere patologie a carico del sistema endocrino (come ad esempio l’ipertiroidismo), disturbi funzionali e d’organo, il consumo di amfetamine e benzodiazepine. E’ consigliato, in ogni caso, durante il trattamento dei disturbi d’ansia, sospendere l’assunzione e il consumo di caffeina, teina e sostanze neurostimolanti. In termini di applicazione terapeutica, la teoria cognitivo-comportamentale si connota in efficacia nel lungo termine rispetto all’impiego di psicofarmaci, più consigliati per limitare le manifestazioni di carattere ansioso nell’immediato. Come si può ben notare, l’ansia generalizzata si distingue per alcune componenti psicologiche a carattere cognitivo che includono l’evitamento, le convinzioni erronee, la difficoltà nel problem solving, l’ipervigilanza, una scarsa empatìa che può addurre difficoltà relazionali interpersonali e con l’ambiente circostante (disadattamento). Strumenti fondamentali in psicoterapia risulteranno l’automonitoraggio, le tecniche di rilassamento ipnosi), la desensibilizzazione, il graduale controllo degli stimoli, la ristrutturazione cognitiva, la contestualizzazione degli eventi, l’elaborazione delle paure di base, la discussione e riformulazione delle credenze, l’esposizione esperenziale, la psicoeducazione, gli esercizi di consapevolezza. Non è bene separare i due trattamenti essenziali della terapia cognitivo- comportamentale, ovvero l’accettazione della terapia stessa da parte dei pazienti e l’applicazione pratica negli impegni che la suddetta richiede. Infatti, obiettivo della terapia è quello di modificare gli schemi di pensiero erronei e disfunzionali, arrivando persino alla sostituzione degli stessi con altri più realistici, positivi e costruttivi. Strumenti di strategia utili sono l’esposizione graduale al dilemma, per consentire al paziente di affrontare le sue ansie in modalità crescente adattandosi di conseguenza alle situazioni che precedentemente avvertiva come altamente problematiche e ansiogene, e di mettere in pratiche le abilità maturate nella gestione delle stesse e nel suo autocontrollo. Il rapporto psicoterapeuta-paziente porterà alla comprensione da parte di entrambi dei meccanismi di pensiero ed emotivi che influenzano il comportamento. L’obiettivo conclusivo della terapia è il cambiamento dello stile di pensiero, in risposta alla psicoeducazione iniziale, con la conseguente destigmatizzazione del disturbo, in grado di apportare positività nelle aspettative realistiche del soggetto coinvolto. L’impegno del paziente è elevato, soprattutto per quanto concerne l’automonitoraggio dei tempi e dei livelli di ansia, così come degli eventi che li hanno generati. Il controllo degli stimoli aversivi porterà alla relativa diminuzione della preoccupazione per gli stessi. I pazienti sono invitati a porre la loro attenzione su ciò che effettivamente li preoccupa nella giornata e di contestualizzare il loro grado ansiogeno riservandolo a quel momento, e solo in quello. Così facendo, si esemplificherà la risoluzione di quel dato problema, non coinvolgendo altre situazioni che verranno comunque ad articolarsi nel resto della giornata. Le tecniche di rilassamento saranno utili per ridurre lo stress nei pazienti, aiutandoli ad aumentare il loro livello di attenzione solo ed esclusivamente per le situazioni temute. Un esercizio di grande ausilio sarà quello della respirazione profonda, che addurrà vantaggi anche per il rilassamento muscolare. Per impegnarsi nella desensibilizzazione, sarà necessario raggiungere un elevato livello di tranquillità affinchè i pazienti possano vivere con distacco e lucidità le situazioni che inviano loro segnali di preoccupazione o agitazione. Col diminuire dell’ansia, andranno diminuendo anche le percezioni disfunzionali e l’avvenuta ristrutturazione cognitiva permetterà una più efficace risposta adattiva al mondo circostante. Il passo dell’avvenuta metabolizzazione della terapia sarà quello condotto attraverso il terreno mentale dell’alternativa. Scegliere percorsi mentali opposti, o comunque favorevoli ad esperimenti comportamentali nuovi, permetteranno al paziente un suo adattarsi innovativo alle situazioni di vita reale, una forza che in precedenza era convinto di non avere, bloccato proprio dalle situazioni che temeva e che ora, invece, è impegnato ad affrontare in maniera graduale e progressiva. La fase del problem solving si divide in cinque sottofasi: la definizione del problema, la formulazione degli obiettivi, la creazione di soluzioni alternative, la scelta e l’attuazione con verifica finale. L’efficacia della terapia cognitivo-comportamentale è scientificamente ancora difficile da stabilire in termini di risultati; tuttavia si distingue positivamente e attivamente nel pervenire a tre grandi obiettivi terapeutici: la riduzione dell’uso di strategie di evitamento nella manifestazione dei sentimenti e delle emozioni, la comprensione delle origini del proprio modo di pensare erroneo e l’utilità del modificarne la natura, infine l’aumento della capacità, da parte del soggetto, di portare a termine gli impegni presi, riuscendo a modificare i vecchi comportamenti. Questi obiettivi si raggiungono attraverso il tentativo della persona di maturare la sua abilità nel controllare e modificare gli eventi in vista dei suoi obiettivi reali e scelti. Risultati ottimali si sono ottenuti dall’applicazione della suddetta terapia con i trattamenti farmacologici. Le eventuali resistenze al perseguimento degli obiettivi da parte del paziente, concernono soprattutto la mancata accettazione della terapia stessa, con conseguente atteggiamento di sconforto per le situazioni di incertezza ed ambiguità, a prescindere dalla loro probabilità di accadimento. Durante la fase di verifica finale, è possibile riscontrare ulteriori miglioramenti. Uno strumento indispensabile per il recupero dei pazienti è dato dal colloquio motivazionale, una strategia incentrata sul paziente che mira ad aumentarne la motivazione intrinseca e diminuire l’ambivalenza dei suoi comportamenti durante tutto il trattamento. Il colloquio si contraddistingue per quattro importanti caratteri: l’empatìa, l’incremento della dissonanza tra comportamenti disfunzionali e quelli funzionali, l’abbattimento delle resistenze attraverso il confronto diretto e l’incoraggiamento dell’autostima. Esso si basa su domande aperte, guidando il soggetto a distinguere i pro e i contro dei suoi atteggiamenti in funzione di problemi quotidiani. Un potente ausilio risulteranno anche i farmaci inibitori della ricaptazione della serotonina che, nonostante abbiano effetti collaterali quali nausea, disfunzioni sessuali, nevralgie, stipsi, agitazione, abbassamento del tono dell’umore in soggetti giovani, si dimostrano efficaci nella corretta trasmissione neurologica degli stimoli positivi. Le benzodiazepine, poi, danno sollievo nel breve termine; gli effetti indesiderati sono dati dalla dipendenza psicologica e fisica al farmaco, che rende difficile ai pazienti riprendere le normali attività senza poterne fare uso costante. Inoltre possono recare disturbi nella sfera attentiva dei soggetti, rendendo difficili attività quali la guida di autoveicoli, l’uso di macchinari, a causa della sonnolenza, la ridotta coordinazione motoria e di equilibrio. Similmente alle benzodiazepine, il pregabalin agisce direttamente sui neurotrasmettitori impegnati nel rilascio del glutammato, del calcio e della noradrenalina ( quest’ultima solo dopo una settimana ). Per la ricaptazione sia della serotonina sia della norepinefrina vengono anche impiegati la venlafaxina e la duloxetina, il vilazodone, la vortioxetina e l’agomelatina. Largamente usati sono anche gli antidepressivi triciclici, come l’imipramina e la clomipramina, altri inibitori della mono-ossidasi come il moclobemide e la fenelzina. Ricordiamo anche altri principi attivi presenti in farmaci antistaminici come l’hydroxyna, e i simpaticolitici ( propranololo, guanfacina, prazosina ).Le statistiche internazionali riportano che più della metà dei pazienti con diagnosi di depressione maggiore provengono da un disturbo d’ansia generalizzato non curato, mentre circa un decimo degli stessi ha avuto un disturbo di panico. E’ bene ricordare che l’ansia non adeguatamente trattata, nel venti per cento dei casi, sfocerà in una depressione per fobia sociale, il nove per cento in agorafobia e il due per cento in attacchi di panico. I pazienti con depressione maggiore risulteranno più predisposti all’inefficacia dei trattamenti farmacologici e della terapia cognitivo-comportamentale, rispetto ai soggetti che presenteranno gli altri disturbi. Anche la loro qualità di vita risulterà fortemente compromessa. Molto spesso risulta difficile distinguere gli esordi sia della depressione maggiore sia dei disturbi d’ansia, in quanto la sintomatologia risulta pressochè analoga. Molti pazienti, infatti, presentano entrambi i disturbi, talvolta indotti dall’abuso di sostanze; l’alcoldipendenza si legherà al distubo d’ansia misto per il trenta per cento dei pazienti, così come l’uso di droghe.
Articolo a cura: Dott. Pierpaolo Casto – Psicologo e Psicoterapeuta – Specialista in Psicoterapia Cognitivo Comportamentale
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